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Storie di Roma

Il blog di Fabio Salemme su RomaGuideTour.it

Mercanti e Argentari dell’Antica Roma a Foro Boario

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I mercati generali dell’antica Roma si sviluppavano lungo la riva sinistra del Tevere, in corrispondenza del porto Tiberino e di un guado naturale, che, già da prima della costruzione dei ponti, consentiva ai carri merci di attraversare il fiume. La sua posizione vantaggiosa aveva stimolato la frequentazione del mercato prima ancora della fondazione della città. Nei secoli il mercato mantenne la sua posizione e crebbe.

Con lo sviluppo delle attività la varietà delle merci trattate continuò ad arricchirsi, e la struttura architettonica del mercato fu di conseguenza adeguata, articolando gli spazi di vendita per settori separati, specializzati nei diversi generi merceologici: fu una soluzione di grande buon senso (immaginatevi altrimenti dei maiali che scorrazzano tra frutta e verdura). Il settore più importante era il Foro Boario, dove si commerciavano capi di bestiame, greggi e mandrie ma pure le olive e l’olio d’oliva.

I mercanti del Foro Boario erano devoti particolarmente ad Ercole Vincitore, e per questo motivo luoghi di culto e immagini dell’eroe erano disseminati nell’area. Sorgeva qui l’Ara Maxima di Ercole, i cui resti sono tuttora visibili nella cripta della basilica di Santa Maria in Cosmedin, di grande notorietà per via della leggenda popolare legata alla cosiddetta Bocca della Verità, che vi è custodita.

In epoca medievale al Foro Boario era attivo nel sito un tribunale e i magistrati usavano la Bocca della Verità per sottoporre gli imputati ad una sorta di prova della verità: ingiungevano loro d’infilare la mano tra le labbra della Bocca, avvertendo che sarebbe stata mozzata, se avessero osato mentire. È ancora visibile una stanzetta posteriore, nella quale all’epoca si nascondeva un soldato armato di una spada affilatissima, con la quale era pronto a mozzare le mani del malcapitato imputato ad un cenno del magistrato. Probabilmente i processi più spesso dibattutti riguardavano proprio reati commessi durante l’attività del mercato. Infatti la vocazione commerciale della zona perdurò nel Medioevo e nell’età Moderna, fino ai tempi dell’Unità d’Italia.

Oltre all’Ara erano presenti nel Foro Boario dei templi dedicati ad Ercole, in particolare nel 120 a.C. veniva a lui dedicato il tempio rotondo, che è uno dei primissimi esempi di edifici interamente in marmo costruiti a Roma. Dalla Grecia furono portati i blocchi di pietra e pure Greci erano l’architetto e lo scultore che lo realizzarono. Roma ed i suoi mercanti cominciavano a maturare l’ambizione di rivaleggiare con lo splendore delle grandi città del Mediterraneo orientale. Il fatto che la pianta circolare sia tipica dei templi di Vesta, ha fatto ritenere a lungo agli studiosi che pure questo del Foro Boario fosse dedicato a Vesta. Soltanto con lo smantellamento della chiesa medievale, ricavata nella struttura del tempio, è stato possibile rinvenire una iscrizione con la dedica ad Ercole, che ha rivelato l’autentica dedicazione. E’ il Tempio di Ercole al Mercato dell Foro Boario.

In effetti tutti i templi di Vesta sono rotondi ma non tutti i templi rotondi sono di Vesta. I Greci generalmente riservavano la pianta rettangolare alle divinità vere e proprie ma gli eroi, che pure adoravano, non sono propriamente dei; nati da un essere divino e da uno umano, gli eroi della mitologia greca non sono immortali per nascita, possono però diventarlo soltanto al prezzo del superamento di prove tremende, come le famose fatiche di Ercole. Il nostro eroe dovette persino discendere nel Regno dei morti e fare ritorno nel nostro mondo. Divenuto in questo modo un dio, il suo culto fu stabilito ma presso templi dalla forma diversa, rotonda, per mai dimenticare, che si tratta di un dio non per nascita ma per merito.

Il mito che ha fatto di Ercole Vincitore il protettore del bestiame e dei pastori, oltre che dei mercanti d’olio d’oliva, è quello di Ercole e Caco. Secondo questo mito Caco era un gigante, che viveva vicino al Palatino, al tempo in cui questo era abitato dalla comunità pastorale di Evandro, che Caco tormentava, rubando loro regolarmente pecore ad altri animali. Ad Ercole, che si trovava a passare da quelle parti, Evandro chiese aiuto; l’eroe non si fece pregare, affrontò il gigante e lo eliminò portando infine la pace.

Il culto di Ercole Vincitore (detto pure Olivario), associato al commercio del bestiame e dell’olio d’oliva, ricorda lo scenario del grande santuario tiburtino. Come a Roma, pure a Tivoli il santuario di Ercole Vincitore fu eretto in una posizione di grande rilievo commerciale, lungo un percorso obbligatorio per le greggi e le mandrie che si spostavano dai pascoli invernali presso le pianure costiere verso quelli estivi di montagna, e viceversa. Viene da pensare, che lo stesso gruppo di persone, che controllava il mercato di Tivoli, operasse con successo pure su Roma, sempre sotto la celeste protezione di Ercole Olivario, naturalmente.

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RomaGuideTour - Visite guidate a Roma e provincia | Tempio di Ercole a Foro Boario
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Se la figura del mercante è l’indiscussa protagonista sulla scena del Foro Boario, ce n’è un’altra che l’affianca, svolgendo un ruolo meno evidente ma altrettanto essenziale: quella dell’argentario (banchiere), che fornisce il supporto finanziario alle attività commerciali.

La presenza di argentari e mercanti, gli uni accanto agli altri nel Foro Boario è testimoniata da un monumento di dimensioni limitate ma di notevole interesse, che si trova accanto all’attuale chiesa di S. Giorgio in Velabro. Si tratta del cosiddetto Arco degli Argentari; piuttosto che un arco, un portale, che dava prestigio ad uno dei principali accessi al mercato. L’Arco degli Acetari fu fatto costruire in collaborazione dagli argentari e dai mercanti del Foro Boario e fu dedicato all’Imperatore Settimio Severo ed alla sua famiglia in occasione della festività dei Ludi Saeculares del 204 d.C. Siamo dunque al tempo della dinastia dei Severi e quello che accadde negli anni successivi ha reso in nostro monumento un testimone d’eccezione della tragedia di quella famiglia e della pratica tipicamente romana della damnatio memoriae.

Sembra che in origine l’Arco degli Acetari fosse sormontato da un attico sul quale si ergevano cinque statue a tutto tondo: al centro stava la statua dell’Imperatore Settimio Severo, alla sua destra la moglie Giulia Donna e il figlio Geta, a sinistra l’altro figlio, Caracalla con la consorte Plautilla. Sui rilievi degli stipiti sono abbondantemente rappresentati dei capi di bestiame ma non si tratta assolutamente di scene relative alla normale attività del mercato, bensì di animali condotti al sacrificio nei templi. Nei riquadri maggiori la stessa famiglia imperiale è rappresentata in scene di gruppo, intenta a celebrare sacrifici agli dei. Il tono generale dei soggetti scelti è dunque molto ufficiale e di circostanza, come dev’essere sembrato opportuno per un monumento dedicato all’Imperatore, la cui augusta figura non si voleva accostare ad attività troppo “volgari” per lui, come il commercio. All’interno dello stipite di destra si riconosce Settimio Severo appunto nell’atto di consumare un olocausto capite velata, cioè con il lembo della toga sollevato a coprire la testa, atteggiamento tenuto da un Romano unicamente nell’atto di adempiere al sevizio sacerdotale.

Per gli antichi Greci e Romani la devozione si esprimeva soprattutto portando offerte al tempio. Si conduceva un animale presso l’altare, dove veniva immolato e una parte selezionata della sua carne, tagliata e preparata secondo regole rituali, veniva fatta consumare dalle fiamme su di un fornello. Simbolicamente questo aveva il valore di avere offerto al dio il nutrimento. Una sorta di accadimento, insomma. Nel rilevo si riconosce ancora bene la figura dell’imperatore, la forma, sia pure mutilata, di un tripode in bronzo, usato per consumare l’olocausto, la qualità della carne offerta in sacrificio, cioè le interiora coperte di grasso addominale, una specie di fegato alla veneziana, come prescritto dalle regole rituali (è la parte che i Romani chiamavano Omentum). Si capisce immediatamente, che alcune figure sono state cancellate volontariamente qualche tempo dopo.

Nel riquadro di fronte dell’Arco degli Acetari si riconosce la figura di Caracalla, colto nell’atto di versare l’Omentum sul tripode con la patera, il piattino rituale con il classico sollevamento al centro. In quest’altro rilievo l’eliminazione volontaria delle altre figure è ancora più evidente. Pure l’epigrafe in cima all’arco è stata alterata: si vede chiaramente, che alcune righe sono state abrase e riscritte. Sono stati cancellati i nomi delle stesse persone, le cui figure dei rilievi sono state cancellate anch’esse, si tratta della moglie e del fratello di Caracalla, ambedue assassinati per consolidare il potere del nuovo Imperatore e persino condannati ad essere dimenticati da tutti, ordinando di rimuovere tutte le tracce della loro esistenza. Questo era la damnatio memoriae. La stessa sorte toccò pure a Plauziano, suocero di Caracalla.

Anche lo stile dell’Arco degli Acetari è da segnalare, essendo lontanissimo dal perfetto equilibrio classico, tanto amato e ricercato dall’aristocrazia. Questo monumento è appunto l’espressione di una classe sociale molto abbiente ma lontana dalla cultura e dallo stile di vita elegante e raffinato dell’élite. L’arco appare sovraccarico di decorazioni, cercando forse di farlo sembrare più prezioso di quanto non sia effettivamente e forse anche di dimostrare che non si era badato a spese. Le figure principali girano la testa in posizione frontale, come quando si usava mettersi in posa davanti al fotografo. È evidente che in questo modo si perde tutta la naturalezza della scena, però i personaggi importanti vengono così messi ancora in maggiore evidenza e questo effetto riscuoterà un grandissimo successo, diventando verso la fine dell’Impero e soprattutto nell’arte Cristiana il punto di riferimento stilistico. Anche qui, in un riquadro in alto a sinistra dell’iscrizione appare l’immagine di Ercole Vincitore, onnipresente nell’area, a cui corrisponde a destra quella del Genius loci, praticamente inglobato nella muratura del campanile della chiesa.

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