Chi è Pasquino e cosa sono le pasquinate?
Pasquino (figura 1) è una delle “statue parlanti” di Roma, forse la più importante e conosciuta della città eterna. Le “statue parlanti” erano usate dai romani (almeno quelli che sapessero leggere e scrivere) per evidenziare il malumore popolare, mediante critiche e componimenti satirici contro i governanti e la loro l’arroganza, il tutto senza essere incriminati.
Immaginiamoci quindi una statua a cui venivano appesi al collo dei fogli o cartelli contenenti satire in versi (rigorosamente anonime), che colpivano i personaggi pubblici più importanti della città di Roma, primi fra tutti i Pontefici (ti piacciono le satire e freddure leggi anche l’articolo ODI ET AMO). La statua di Pasquino si trova in una piccola piazzetta che oggi porta il suo nome, Piazza Pasquino, non lontano da Piazza Navona, dove probabilmente comincia la sua storia.
Chi era Pasquino, perché questo nome?
Si racconta infatti, che su piazzetta di Roma, Piazza Pasquino (l’antica piazza del Parione) nel 1500 ci fosse la bottega di un sarto romano di nome Pasquino, famoso per le sue battute sarcastiche ed argute e più taglienti delle forbici che usava per lavorare. Non mancano naturalmente altre leggende con altre figure come il: Barbiere, il Fabbro e il Calzolaio.
Secondo Teofilo Folengo “mastro Pasquino” sarebbe stato addirittura un Ristoratore che aveva il suo ristorante in questa piazza, oppure, una recente ipotesi sostiene che si trattasse di un docente di grammatica latina, ed infine rappresenterebbe uno dei protagonisti del Decamerone di Boccaccio. In ogni caso al di la dei mestieri spesso umili si parla di una persona che sapesse leggere e scrivere (non era scontato a quei tempi, soprattutto nelle classi sociali più basse) con un animo irriverente che sfociava nella satira pungente.
Probabilmente iniziò per caso ad essere utilizzato dal popolino per esporre le pungenti satire anonime verso i suoi conoscenti un po per sfottò, ma con il tempo, il nostro poeta satirico si “specializzò” in feroci satire politiche. Pasquino infatti aveva capacità di far ridere e allo stesso tempo riflettere, criticando il potere dei governatori della città eterna con una critica feroce e irriverente. Naturalmente il potere di cui parliamo era concentrato nelle mani del clero e della nobiltà, a cui si rivolgevano le battute del nostro Pasquino. I rappresentanti di queste classi però esitavano a punirlo consapevoli della sua grande popolarità che questi riscuoteva sulla cittadinanza e timorosi di ripercussioni nel popolino.
Alla morte di Pasquino i potenti pensarono di poter finalmente tirare un sospiro di sollievo e di non essere più bersagliati da queste satire, ma evidentemente si sbagliarono. La leggenda infatti, ci racconta che la bottega del nostro sarto fu demolita a seguito dei lavori di ristrutturazione del Palazzo Orsini (oggi Palazzo Braschi) nel XVI secolo (1501), voluti dal potente cardinale Oliviero Carafa e condotti da Bramante (l’architetto della moderna Basilica di San Pietro). Durante questi lavori però ,verrà rinvenuta nel sottosuolo un busto marmoreo antico e assai consumato, che ancora oggi si trova questa piccola piazza di Roma, l’antica Piazza del Parione oggi Piazza Pasquino.
Cosa rappresenta la statua di Pasquino?
Secondo gli archeologi la statua di Pasquino un tempo doveva avere una forma diversa e soprattutto completa, rappresentando, forse un guerriero greco oppure due guerrieri, l’uno che sorregge l’altro. Probabilmente si trattava di un gruppo scultoreo del III sec a.c., di Antigonos che raffigurava Menelao che sosteneva il corpo di Patroclo morente, del quale esistono numerose repliche (una di queste è possibile vederla nella Loggia dei Lanzi a Firenze) (figura 2). Naturalmente esistono anche altre versioni, tra cui Aiace che sostiene il corpo di Achille ed Ercole che lotta contro i centuauri.
Ora cerchiamo di immaginarcela come parte decorativa, quindi una delle tante statue che una volta decoravano l’antico stadio di Domiziano (figura 3), oggi completamente inglobato da una celebre piazza di Roma, Piazza Navona. Questa piazza, uno dei luoghi più celebri di Roma, prima di assumere l’aspetto attuale era infatti uno stadio, dove si disputavano i giochi olimpici dell’antica Grecia, cioè le competizioni atletiche e nello specifico: corsa, lotta e pugilato.
La statua con la fine del mondo antico sarà poi sepolta dal tempo e da nuovi edifici fino alla sua riscoperta nel 1501 con i lavori precedentemente citati. C’è da dire però, che quando venne rinvenuta questa statua non gli si dette grande importanza e da molti fu ritenuta di scarso valore, ma il cardinale Carafa insistette di salvare a tutti i costi quell’opera (che probabilmente sarebbe stata frantumata e ridotta in calcina) e la volle sistemare nell’angolo dell’antica Piazza del Parione (oggi Piazza Pasquino) applicandogli lo stemma dei Carafa ed un cartiglio celebrativo, ma per il popolo di Roma il segnale era chiaro e non ebbero dubbi ad identificare la statua ritrovata in prossimità della bottega di Pasquino come la sua personificazione.
Nasce il mito di Pasquino
Dopo il collocamento della statua nella piazza, comincio quindi a diffondersi il costume di appendere al collo della statua, durante la notte o sfruttando semplicemente l’oscurità fogli e cartelli contenenti satire in versi, rivolte contro il potere e i potenti, le famose “pasquinate“(figura 4). Queste satire potevano essere composte dal popolo, ma anche da illustri letterati del tempo che componevano la pasquinata, in segreto e sopratutto in modo anonimo, affiggendola sopra la statua di Pasquino, proprio come se fosse stata la statua a declamarla.
Fu proprio grazie a questa trovata che i romani hanno potuto continuare ad avere una propria voce contro i potenti, proprio come era stata la voce dell’antico sarto, e forse ancora più potente, perché perpetua e anonima. Ogni mattina quindi, si ripeteva sempre lo stesso copione, le guardie rimuovevano i fogli con le “pasquinate“, ma questo avveniva sempre dopo che queste erano già state lette e diffuse ad un folto numero di persone. In breve tempo la statua di Pasquino divenne fonte di preoccupazione, e d’irritazione, per i potenti presi di mira, primi fra tutti i papi.
Sappiamo che molti pontefici addirittura, cercarono di eliminare la statua, tra questi Adriano VI (ultimo papa straniero prima di Giovanni Paolo II), durante il suo breve pontificato, si dice che tentò di disfarsene, ordinando di gettarla nel Tevere, ma fu distolto in extremis dai cardinali della Curia, che intravidero il pericolo e la possibile portata di un simile “attacco” alla congenita inclinazione alla satira del popolo romano. Altri pontefici invece, pensarono di far vigilare notte e giorno da guardie la statua incriminata, ma le pasquinate apparvero ancora più numerose ai piedi di altre statue.
Addirittura vennero emessi editti che punivano con la morte, la confisca e l’infamia chi si fosse reso colpevole di pasquinate. Nonostante tutto le pasquinate non smisero di scuotere gli animi dell’urbe contro i potenti, anzi ai versi propagandistici si sostituiscono invettive moraleggianti, soprattutto nei confronti di un dilagante nepotismo e di una certa “prostituzione di lusso“. Verso dopo verso, Pasquino era di fatto diventato l’antagonista del Papa, simboleggiando il popolo di Roma che non abbassava la testa di fronte ai soprusi dei più potenti.
Alcune curiosità sulle Pasquinate
La Pasquinata forse più famosa rimane quella riferita a Papa Urbano VIII della famiglia dei Barberini che recita: “Quello che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini“. La frase, faceva riferimento al prelievo del bronzo contenuto nelle travature della trabeazione del Pantheon, che Urbano VIII commissionò al Bernini per la costruzione del monumentale baldacchino conservato al centro della Basilica di San Pietro in Vaticano.
Tale attribuzione a Pasquino è fortemente improbabile perché è dimostrato che in realtà il popolo romano e l’opinione degli artisti contemporanei plaudì alla decisione del Papa, che utilizzò delle semplici travi di bronzo della trabeazione dell’ingresso del Pantheon (sostituite con altrettanto valide travi di legno) per far realizzare da Bernini un’opera che è tuttora ammirata e studiata. Sempre collegato a Bernini un altro fatto molto interessante, si narra infatti, che fu autore di una pasquinata “atipica“, o realizzata a modo suo. Il fatto si può ricollegare quando il papa Innocenzo X gli commissionò il miglioramento della “Fontana del Moro” (figura 5) in piazza Navona, l’artista acconsentì, ma si dice che scolpì il busto del “moro” (figura 6) ispirandosi al vicino busto del Pasquino, tanto odiato dallo stesso papa, e in effetti si nota una certa somiglianza (figura 7).
Le Pasquinate dalla fine del potere dei papi fino ai giorni nostri
Le pasquinate non erano soltanto espressione di un malcontento popolare, spesso troviamo altri casi in cui artisti ma anche gli stessi rappresentanti del potere, le usarono per fini propagandistici, contro avversari scomodi e magari sfruttando l’arte poetica ed ironica di letterati che si prestavano al gioco. Tra gli esempi più illustri possiamo sicuramente citare Giambattista Marino e Pietro Aretino. In questo caso le pasquinate diventavano un’occasione ghiotta per spargere maldicenze contro concorrenti scomodi nel tentativo di ottenere il favore popolare.
L’elezione di un nuovo pontefice diventava un vero campo di battaglia di una campagna elettorale e si combatteva a colpi di invettive propagandistiche per favorire o sfavorire qualcuno in questa scalata al potere. La voce di Pasquino e la sua produzione di satire si estinse con la fine del potere temporale dei papi, precisamente con la breccia di Porta Pia. Il popolo romano veniva messo di fronte a nuovi tipi di sovrano e a nuovi tipi di stato.
Si sostenne che Pasquino fu “distratto” dalla contemporanea messa in circolazione dei sonetti del Belli, che col suo spirito mostravano più di qualche apparentamento e che nel medesimo senso proseguivano la sua opera; in ogni caso la statua tacque, priva del suo antico bersaglio, e di fogli appesi non se ne videro più fino al 1938 quando la città si preparava per la visita di Hitler a Roma, e Pasquino improvvisamente si risveglio dal lungo silenzio, senza però aver perso il suo taglio pungente, facendo notare la vuota pomposità degli allestimenti scenografici, che avevano messo la città sottosopra per settimane: «Povera Roma mia de travertino te sei vestita tutta de cartone pe’ fatte rimira’ da ‘n imbianchino venuto da padrone!». O ancora come quella pasquinata apparsa in occasione della prima visita a Roma del presidente Gorbaciov: “La perestrojka nun se magna da du’ ggiorni ce manna a pedagna sarebbe er caso de smammà ce cominceno a girà “. Ancora oggi Pasquino continua con le sue pasquinate rigorosamente in dialetto romano e su argomenti di attualità .
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